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[R] proposta di riforme politiche


R1. Separare la politica dalla cultura: un’urgenza

È oggettivo che in Italia si assista a frequenti ingerenze da parte della politica sul sistema culturale, sia sui contenuti veicolati che sugli obiettivi da raggiungere. È necessario che il sistema dell’arte cerchi di attuare il più possibile una separazione dei propri interessi da quelli della sfera politica per evitare indebiti e deleteri condizionamenti.


Report del tavolo

Necessità di una distanza rispetto alla politica attuale, intesa come mera amministrazione del presente, che concepisce la cultura come semplice decorazione e strumento di consenso. All’arte e alla cultura si chiede dunque, non da oggi, di: confermare ciò che già tutti sanno, o presumono di sapere; celebrare classi dirigenti; autocelebrare e autoassolvere un’identità collettiva consunta. Questa separazione viene così concepita in un senso piuttosto letterale.
premesse
- Rifiuto categorico di qualunque riforma (intesa come piccola modifica e aggiustamento) della relazione attuale tra politica e cultura in Italia – per il semplice motivo che qualsiasi riforma interviene e si inserisce nella cornice di riferimento attuale, senza metterla in discussione né infrangerla. E, anzi, condividendone e accettandone i valori fondamentali. 
 - Riconoscimento comune di una disfunzionalità fondamentale del sistema dell’arte contemporanea. Il nostro problema principale è che spesso non diciamo la verità, e non ci diciamo la verità: questo mondo è affetto cioè da una forma grave di ipocrisia. 
 - Percezione della specularità del sistema dell’arte contemporanea rispetto al territorio della politica: se cerchiamo un sistema analogo alla politica per funzionamento e caratteristiche interni (autarchia e autismo senza alcuna reale autonomia, e anzi attitudine parassitaria nei confronti della realtà sociale; elitismo, esclusività, solipsismo; dissociazione patologica e schizofrenia) lo troviamo proprio, e in maniera nient’affatto sorprendente, nell’arte contemporanea. 
 - Occorre perciò partire da una trasformazione profonda del nostro contesto, e di noi stessi, senza la quale non è possibile alcun reale cambiamento: dobbiamo diventare migliori, e inventare migliori noi stessi.
proposte
- Appello comune alla responsabilità individuale, morale: tensione verso la ricostruzione di questa dimensione di responsabilità. 
- Ricominciare a mettere in discussione criticamente il sistema dell’arte; ritornare vedere fisicamentele opere e le mostre. 
- Stare dentro l’opera, e da un punto di vista anti-tecnico vivere la crisi - e la crisi della democrazia - e saperne dare una narrazione, cercando la fuoriuscita da questa crisi attraverso questa narrazione. 
- Orientarsi a ricostruire la dimensione di ecosistema dell’arte: l’arte è la nostra vita; costruire comunità temporanee, comunità di scopo (c. per fare qualcosa); elaborare così modalità creative, intelligenti e alternative di relazione e di confronto con la politica (in questo senso, il rancore, il risentimento, la recriminazione sono inutili). 
 - La marginalità è un terreno fertile (sia dal punto di vista fisico, dei territori, sia di elaborazione e progettazione culturale. 
- Competizione collaborativa e impegno al rispetto reciproco della dignità. 
- Sfruttare l’enorme opportunità che deriva dalle nostre enormi criticità. 

Proposte di modello: applicare le buone pratiche internazionali, adattandole di volta in volta alle caratteristiche e alle vocazioni dell’Italia e dei suoi territori. Come hanno risolto all’estero i problemi che noi abbiamo di fronte? Sottoporre chi amministra la cosa pubblica alla griglia delle best practice, e sottolineare con forza ogni volta che ci si allontana da questa griglia, chiedendone puntualmente conto. Emergono così incapacità, corruzione, malafede, ecc.: gli impedimenti pratici e concreti. 

Proposta concreta: l’arte nel 2009 aveva promesso di aiutare L’Aquila e la sua comunità; poi questa promessa è stata dimenticata, e nulla è stato fatto (così come, parallelamente, dalla politica); l’arte contemporanea deve impegnarsi a tornare a L’Aquila con progetti reali e concreti, aiutando e sostenendo quella città nella propria ricostruzione identitaria. 

- Aprire conflitti rispetto ai metodi di misurazione dei processi culturali: capovolgere l’assioma della cultura come volano dell’economia e del turismo; inserire nuovi parametri relativi alla costruzione di comunità e ai processi culturali. Non chiedere più alla cultura spettacolarizzazione, performance, indotti (con stravolgimento reale dei territori, gentrificazione, perdita). Rivendicare, protestare contro ciò che non ci piace non solo della politica, ma anche del panorama artistico che asseconda questa visione. 
-Dobbiamo pretendere (non chiedere, né elemosinare) che lo Stato torni a finanziare le attività culturali, rifiutando qualunque supposta giustificazione storica della dismissione e della deresponsabilizzazione rispetto al supporto pubblico della cultura. 
-Istituire un momento ulteriore (ancora più aperto e allargato) di confronto su questo tema fondamentale della separazione tra cultura e politica.



I primi 28 minuti della discussione presentano un audio leggermente danneggiato; successivamente la registrazione è perfettamente udibile. 
25.09, ore 14.30
Palazzo Banci Buonamici

Coordina:
Christian Caliandro

Partecipanti al tavolo:
Achille Bonito Oliva
Cristiana Colli
Mario Cristiani
Alfredo Pirri
Giuseppe Stampone
Massimiliano Tonelli
Gian Maria Tosatti
Marco Trulli