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M4. La lingua italiana

Come rilanciare, in funzione creativa, immaginativa e di ricerca, la lingua italiana? In quali ambiti e in quali modi va riconosciuta l’indispensabilità della sua funzione e della sua ricchezza, non riducibile alla traduzione inglese?


Il tavolo è stato preceduto dalla condivisione di alcuni spunti di riflessione relativi in particolare al rapporto fra la lingua italiana e l’inglese correntemente usato in quasi tutti gli scambi e i contesti internazionali. 
- Usare una lingua che non è la madrelingua implica un abbassamento delle capacità espressive, delle ricchezze associative, metaforiche, della qualità dei contenuti? Per gli italiani, e tutti gli altri non anglofoni, si tratta alla fine di avere una competenza e non poterla usare? 
- Come evitare di cadere nell’uso di una lingua inglese ridotta a funzioni tecniche (business-marketing-advertising-show) o funzionali ad un sistema e ad un’ideologia?
 - Per esprimersi meglio, e possibilmente con competenza critica, anche in inglese, non bisogna prima di tutto sapere usare bene la propria lingua? 
- Ogni lingua si giova del potere creativo delle ibridazioni; ma per favorire le ibridazioni non è necessario il multilinguismo piuttosto che il monolinguismo? - Non è l’inglese parlato dagli stessi anglofoni che rischia di isterilirsi a causa di un’abitudine a comunicare con dei parlanti che usano soltanto un inglese basic ? 
- Come tradurre in un’altra lingua la complessità delle sfumature della lingua madre, e cioè le sfumature, le complessità, e anche le contraddizioni, del pensiero?
premesse
Tutti gli intervenuti, piuttosto che entrare in una specifica analisi del rapporto fra lingua italiana e lingua inglese nelle condizioni storiche, sociali e comunicative attuali, hanno sottolineato la grande complessità della questione linguistica ricordando gli infiniti aspetti di ibridazione e creolizzazione, il rapporto che quasi sempre le lingue “organizzate” e “scritte” hanno tenuto con l’esercizio del potere e a volte dell’eradicazione stessa di culture autoctone (come nel caso di molto colonialismo) e il fatto che la stessa lingua italiana, così come noi la usiamo oggi, è patrimonio condiviso molto recente, poiché prima dell’introduzione della radio e soprattutto della televisione, essa era parlata, compresa e scritta da una minoranza (un’élite socio-culturale) di italiani. Se è genericamente condiviso il rischio di appiattimento sulla cultura mercantile, efficientista e pubblicitaria veicolato dall’uso generalizzato del basic english, nonché del rischio legato alla semplificazione dei contenuti in una condizione di “alluvione” di messaggi di cui siamo bersagli (e anche, per usare un termine di Mannucci, “bersaglieri”), i vari interventi hanno preferito allargare lo spettro dell’analisi e vedere le opportunità insite proprio nelle situazioni di ibridazione culturale, di presenza di grandi flussi migratori e quindi di mescolamenti linguistici, dell’enorme allargamento delle potenzialità espressive legato all’uso della rete e, infine, le possibilità che un approccio artistico o “poetico” alle questioni linguistiche possa oltrepassare ovvero utilizzare proprio gli aspetti più critici e le difficoltà più grandi.
proposte
Da un punto di vista propositivo il tavolo, schematizzando un po’, si è espresso per: 

1 - studiare e valorizzare la tonalità affettiva che può avere la lingua madre, e comunque indagare e, appunto, conferire valore, alla lingua in cui si veicola il desiderio, tenendo i suoi campi di azione ben distinti rispetto alla lingua in cui si è costretti ad esprimersi per necessità legate al lavoro, o alla rapidità della comunicazione ecc. Una proposta concreta potrebbe essere quella di organizzare dei veri e propri laboratori con partecipanti di diverse provenienze linguistiche, alla scoperta dell’ “impronta” affettiva o erotica delle parole che si usano. Tale laboratorio – che potrebbe avere il titolo di “Il bacio con la lingua” - dovrebbe tentare di dare una risposta alla domanda: “Come articolare una lingua del desiderio per/da/con l’arte?” 

- usare, nelle comunicazioni attraverso i nuovi media (internet, posta elettronica, reti sociali), non tanto modelli “vincenti” basati su rapidità, semplificazione, efficienza economica, aderenza alle leggi del mercato ecc. che sono già dati e di facile riproducibilità, ma piuttosto modelli inventati di volta in volta, in grado di produrre nuove forme di prossimità; 
- valorizzare, nell’uso della lingua, i momenti e le occasioni legate proprio alle incertezze o a ciò che è considerato “errore” – la balbuzie, la vergogna, le funzioni rivelatorie spesso legate all’uso di una lingua che non si conosce, ovvero al dialetto che si è abbandonato - poiché la densità della proposta artistica è legata proprio al riconoscimento di una sorta di estraneità linguistica profondamente insita nel sé (Kristeva), all’uso “minoritario” della lingua, all’essere stranieri nella propria lingua (Deleuze), che sono tutti indici delle diversità presenti in un dato contesto sociale (ma anche nel singolo individuo) e che ne rappresentano il potenziale creativo; 
- introdurre, in tutte le occasioni internazionali possibili (conferenze, testi, opere d’arte che usano il linguaggio, lezioni, laboratori ecc.), l’uso di termini (o specifiche espressioni) provenienti dalla lingua madre e che possano spiegare al meglio certi passaggi concettuali, nonché arricchire di contenuti (associazioni, sfumature, metafore, giochi di parole) l’inteso; incoraggiare anche altri, di altre lingue, a farlo. La comunicazione risulterà più lenta – poiché richiederà un tempo supplementare per “tradurre” discorsivamente in inglese l’espressione scelta – ma introdurrà profondità di significato e uno scambio plurilinguistico a cui chiunque, da qualunque provenienza, darà un determinante contributo.