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A3. Quantità di pubblico vs qualità della proposta

Negli ultimi anni è forse radicalmente mutato il complesso e delicato equilibrio tra la qualità delle proposte artistiche e culturali e la quantità del pubblico raggiunto. È possibile che questi due aspetti non entrino in conflitto? Come far sì che le iniziative mantengano la loro vocazione sperimentale e qualitativa, senza perdere attrattività nei confronti del grande pubblico?


Il rapporto fra quantità e qualità negli ultimi anni si sta facendo sempre più pressante. Le domande alle quali questo tavolo ha cercato di dare delle risposte propositive costellano quotidianamente le vite di chi lavora nel mondo culturale: Possiamo ancora pensare di coniugare la qualità della proposta con la domanda del grande pubblico? Possiamo ancora sperare di non svilire la missione del museo a fronte di sempre più pressanti esigenze economiche?
premesse
Uscire dal falso problema del conteggio del pubblico e riconoscere piuttosto la possibilità che non ci sia tutto il pubblico che immaginiamo: è molto più importante che si possa lavorare con obbiettivi chiari, ma plausibili, senza inseguire il raggiungimento di un numero che spesso è chimerico e non aderisce alla situazione reale. Per sostenere la proposta culturale bisognerebbe riuscire a lavorare maggiormente sui programmi che accompagnano le mostre e non solo sulla mostra stessa. 
- Lavorare per far crescere la consapevolezza che il maggior finanziamento non corrisponde per forza di cose a maggiori numeri, né che porta immancabilmente con sé altri finanziamenti. Anche in questo senso l’attenzione ai programmi collaterali può aiutare a porre maggiore cura all’analisi del tipo di pubblico che si è riusciti a coinvolgere piuttosto che alla sua quantità. 
- Assenza di dati raccolti scientificamente senza reale possibilità di comparazione, è, quindi, difficile poter fare delle stime sul pubblico ex ante. Le valutazioni fatte dopo risultano spesso semplicemente celebrative e poco proficue. Va ripensata la relazione fra museo e mostre per poter offrire una programmazione che non sia solo il risultato di una competizione impropria con altre proposte di intrattenimento. In questo senso si richiama il documento redatto da ICOM-Italia nel 2008, I pericoli di una monocultura e il rischio di cancellare le diversità culturali. 
- L’eccesso di proposta culturale ha portato ad un appiattimento e omologazione dell’offerta che ha fatto dimenticare l’importanza del territorio nel delineare i progetti. A fronte di questa offerta il pubblico risulta spesso abbandonato poiché non vengono considerati i suoi bisogni specifici e il contesto socio-culturale di appartenenza, anche lo stesso concetto di qualità dovrebbe rapportarsi al contesto in cui si opera. Si avverte la necessità di ribadire la centralità del periferico e l’importanza che la committenza, pubblica e privata, ne comprenda le potenzialità.
proposte
Sostituire alla parola pubblico quelle di pubblici, collettività, comunità, nella convinzione che il pubblico in astratto non esista, ma esistano delle persone, ognuna con i suoi desideri, i suoi bisogni e le sue aspettative specifiche. 
- Ribadire la qualità intellettuale del lavoro di tutte le professionalità coinvolte nel museo, comprese le aree non prettamente curatoriali, in una logica di proficua coopetition. Il rapporto con gli sponsor, con i comitati scientifici e con i consigli di amministrazione dovrebbe essere di mutuo dialogo e collaborazione. 
- Coniugare ricerca di alto livello e divulgazione di alto livello, nel nome della qualità progettuale e del display e degli strumenti informativi senza cedere da una parte alla tentazione del mainstream e del blockbuster ad ogni costo, dall’altra a quella della nicchia e dell’autoreferenzialità, per creare quella “fiducia” del pubblico che consenta di portarlo in territori nuovi e non ovvii senza però disorientarlo con proposte troppo respingenti e poco leggibili. Senza rinunciare, quindi, a priori alle grandi mostre, creare un palinsesto che le alterni con progetti meno altisonanti costruendo una relazione di reciprocità tra aspettativa e proposta.  
- Più che alla soddisfazione delle persone bisogna pensare al loro coinvolgimento, lavorando sempre di più agli strumenti di divulgazione e anche alla loro potenzialità come riflessioni estetiche autonome, in questo senso si potrebbe chiedere la collaborazione degli artisti anche a questa parte del lavoro. 
- Evitare che la proposta culturale manchi di responsabilità intellettuale, ricordandosi sempre che la selezione porta con sé l’onere di un impegno che si basa su un rapporto di fiducia, altrimenti si ricade nel pericolo del tradimento della comunità di riferimento. 
- Il museo deve accettare la sfida di diventare migrante, un’eterotopia permeabile, senza pensare che un museo aperto sia per forza “ferito”. Va cambiato il modo di raccontare il museo, chiarendo meglio gli obiettivi non solo strategici, ma più propriamente narrativi, recuperando anche la possibilità di narrazione senza che rimanga una sola strategia di marketing. 
- Istituire un osservatorio, che potrebbe dipendere dall’Università così da evitare conflitti di interesse, per analizzare e comparare le entrate dei musei italiani e avere uno strumento scientifico che possa rispondere a logiche indipendenti di ricerca. 
- L’accoglienza dovrebbe essere sempre più plurale, uscire dal museo, recuperare la “piazza”, fino ad entrare nelle vite stesse delle persone, anche tramite corsi di avvicinamento all’arte, ribadendo un valore condiviso e condivisibile dell’arte e creando nuovi spazi di opportunità sia dentro che al di fuori dell’istituzione. 
- Concentrarsi maggiormente sull’“audience development” fidelizzando il proprio pubblico ma soprattutto costruendo nuovi pubblici con un atteggiamento che con confonda “qualità” con “difficoltà”, nella convinzione che la qualità non dipenda solo dalla scelta dell’artista o del tema ma da come questi sono sviluppati.